La disarmante importanza di un muretto cilindrico | Quanti centimetri misura la salvezza
Vent’anni fa accadde un episodio, ho realizzato una microscopica verità ad essa legata, e mi sconvolse al punto che lo shock, silenziosamente imperituro, mi accompagna fino ad oggi.
Mohammad Al Durrah tornava a casa con suo papà Jamal, finiscono in mezzo a una pioggia di proiettili israeliani dell’IDF che dura più di 45 minuti, tempo che li costringe a trovare un modesto riparo dietro a una piccola barriera architettonica alta appena 90 centimetri su un marciapiede.
Il bambino prova a coprirsi dietro a suo padre ma non riesce a scampare, il fuoco colpisce il padre e uccide il figlio.
Il contesto storico e il clima sociale della Seconda Intifada, che al momento dell’omicidio era al suo secondo giorno di rivolta, é stato un enzima eupeptico per la propaganda sionista “che ha il compito di difendersi con ogni mezzo necessario” mentre l’inopia tecnologica dell’epoca ha facilitato l’avanzare di illazioni e artifici eristici, lesivi per l’integrità veridica e l’attribuzione di colpevolezza del crimine.
Per anni da quel giorno ho convissuto con il tormento, che tutt’ora persiste, di poter avvertire in prima persona o assistere alla paura altrui, di non riuscire a trovare un nascondiglio per proteggersi, rimanendo senza possibilità di difesa o di fuga.
Il confronto indiretto con la morte violenta, attraverso lo schermo e il cinema, altera la capacità di percepire il proprio corpo.
Tra lo schermo e lo spettatore si frappone una misura di sicurezza, nello spazio poiché avviene lontano da me, e nel tempo potendo interrompere la trasmissione dell’immagine quando desidero.
Nelle rappresentazioni sceniche il cadavere é sempre quello di qualcun’altro e lo si accetta poiché finzionale. Per speculazione si pensa, o si spera che se succedesse a noi un montaggio divino potrà salvarci, o che riusciremo a trovare una barriera architettonica in grado di proteggerci.
I più fortunati possono aver sperimentato la sensazione in sogno e possono immedesimarsi virtualmente in una condizione rischiosa senza esserne esposti : dentro a quella percezione onirica si può trovare la sensazione angosciante e paralizzante dell’incapacità di difendersi. Si realizza quanto il corpo sia perpetuamente esposto a rischi. Il corpo é violabile, vulnerabile e piccino, frangibile.
Di fronte alle immagini dell’omicidio del bambino, ero incomprensibilmente ossessionata da quel piccolo muretto cilindrico trovato per strada, che non aveva svolto nessuna funzione, se non quella di aggrapparli alla speranza che fosse sufficiente allo scopo.
Mi procurava orrore realizzare il fatto che non potesse essere solo un po più grande, che non poteva aiutarli a coprirsi.
Ero tormentata dalle sue proporzioni.
La posizione in cui si erano raccolti non era abbastanza ridotta per impedire alla testa del padre e ai piedi del bambino di sporgere dal cilindro.
Quello é stato il mio primo confronto consapevole con la violenza, vedevo morire un coetaneo di dodici anni, in televisione, che non aveva avuto scampo ed era morto.
Io invece il giorno dopo sarei andata a scuola ma non ricordo più come trascorsi i giorni successivi, ricordo però che il senso per l’architettura continuava a ripresentarsi e mi faceva paura qualsiasi cosa che, guardando poi per la strada, trovassi più piccolo o inadeguato a proteggere un corpo umano.
“Quella siepe non é abbastanza fitta”, “quel muretto é troppo basso, non ci starebbe nemmeno un topo rannicchiato”,
“quante persone potrebbero salvarsi dietro a una colonna”.
Avevo iniziato a misurare circonferenze, altezze, a calcolare le dimensioni sufficienti per contenere la salvezza.
Avevo interiorizzato il terrore per il limite, di un corpo congelato nella paura, e di una barriera architettonica inadeguata alla difesa, e mi vergognavo di condividere il pensiero con la mia famiglia.
Non é una condizione linguisticamente affrontabile, l’immagine é una sevizie per l’anima e la percezione del corpo frangibile supera l’utilità della parola.
Quello che io scrivo (e sopratutto per il dove ho scelto di pubblicarlo) vale meno di una cicca sputata poiché il crimine, come tanti altri che hanno terminato la vita di altri bambini in condizioni simili, rimane tuttora impunito.
Quel cilindro se esiste ancora si trova a queste coordinate 31°28′55.89″N 34°24′47.96″E.
Mi sconvolge immaginare ancora la sua esistenza e la sua inutilità.